Alejandro, il cacao dell’Ecuador in difesa della biodiversità

Alejandro, il cacao dell’Ecuador in difesa della biodiversità
Print Friendly, PDF & Email

Food for Change”, questo era il tema dell’edizione 2018 di Terra Madre. Nel presentare la manifestazione, il suo “papà” Carlin Petrini ci parla della grande moltitudine di coloro che, lavorando su piccola scala, tentano di invertire una deriva globale: da un lato, il pianeta che ci ospita sta cambiando e si sta degradando ad un ritmo senza precedenti mentre, sul piano sociale, grandi aree del mondo si stanno spopolando perché non più coltivabili, oppure consumate da un mercato globale basato sulla competizione al ribasso, che riduce il cibo a merce e nient’altro. Queste imprese agricole familiari lavorano per invertire la rotta, per rigenerare invece che sfruttare, per condividere invece che accumulare.

Quando è nata Terra Madre, nel 2004”, racconta Petrini, “parlavamo a contadini vecchio stile, che oggi non ci sono più. Sono stati sostituiti da giovani determinati e cocciuti, che ripropongono antichi saperi con nuova tecnologia. E poniamo un’attenzione particolare al mondo femminile, perché le grandi tradizioni spesso sono in mano alle donne”. Ed eccoli, i giovani cocciuti: tra i settemila rappresentanti di queste piccole comunità presenti a Torino, abbiamo incontrato Alejandro Solano, agroecologo e produttore di cacao artigianale della Riserva Mashpi Shungo, situata nel nord dell’Ecuador. Anche se qui a Torino il grande “cicolaté” torinese Guido Gobino sostiene i maestri messicani e produce un cioccolato con il cacao della Tanzania, il miglior cacao a livello mondiale rimane quello dell’Ecuador: lo dicono gli esperti e ce lo dice anche lui, Alejandro.

Qualche migliaio di anni fa, il territorio che oggi costituisce l’Ecuador era popolato da tribù diverse. Gli Incas, civiltà fiorente ed evoluta, arrivarono intorno al 1250, attraverso una serie di scorrerie che divennero vere e proprie guerre, concluse con la piena conquista tra il 1478 e il 1488, poco prima cioè che le tre caravelle inviate dai sovrani di Castiglia sbarcassero in quello che venne chiamato per secoli il “Nuovo Mondo”. Nello stesso periodo, l’Impero Songhai raggiungeva la massima espansione in Africa, dove la cultura islamica era arrivata fino all’Università di Timbuctù, così come in Europa le Università arabe in Spagna portavano la cultura in un mondo europeo ancora medievale. Tornando in Ecuador, Quito era la capitale della parte nord del regno degli Incas, ed ecuadoriano era il sovrano Atahualpa, che riunificò il regno e che dovette affrontare gli Spagnoli di Francisco Pizarro, nel 1534. L’Ecuador fu una colonia relativamente tranquilla: gli Spagnoli, dopo aver razziato oro e ricchezze, impiantarono un’economia basata sul latifondo, con il lavoro degli indios ridotti in schiavitù.

I primi movimenti di ribellione della fine del Settecento, cui seguì l’azione di Simon Bolivar, spinsero gli indipendentisti, con la fondazione della “Confederazione di Gran Colombia”, tra Ecuador, Venezuela e appunto Colombia. Territori ancora occupati dagli Spagnoli, che furono definitivamente sconfitti nel 1822, con la vittoria nella battaglia del monte Pichincha, nei pressi della capitale, da parte del generale bolivariano José Antonio Sucre. Nel 1830 la Grande Colombia fu sciolta, e la Reale Udienza di Quito dichiarò la propria indipendenza, come Repubblica dell’Ecuador.

I continui colpi di Stato, avvenuti soprattutto negli ultimi decenni, fanno dell’Ecuador uno dei Paesi più turbolenti dell’America latina. Dal 1830 al 1940 si registrarono infatti ben 33 presidenti, alcuni dei quali furono dittatori assoluti. Dovette affrontare prima la crisi del 1929, che mise in ginocchio il Paese, poi la guerra con il Perù, che terminò con una sconfitta ed la conseguente perdita di parte del territorio. Anche i rapporti con la Colombia non sono sempre stati tranquilli, dato che le foreste dell’Ecuador erano spesso il rifugio dei guerriglieri delle FARC.

Negli anni Settanta cominciò lo sfruttamento delle risorse petrolifere, che generò tra l’altro anche un conflitto con i pescherecci nordamericani, in quella che fu soprannominata “la guerra del tonno”. Ancora nel 2011 uno studio del Sole 24Ore poneva l’Ecuador tra i venti Paesi a rischio per gli investimenti economici.

Lo sfruttamento delle risorse petrolifere, o “estrattivismo”, come lo chiamano gli Ecuadoriani, è tuttora uno dei maggiori terreni di scontro tra il governo e la popolazione. Nel 2013, appena rieletto, il presidente Correa ha annullato un piano di protezione del Parco Nazionale Yasunì per la ripresa dell’estrazione di greggio, cosa che ha scatenato proteste e manifestazioni tra gli abitanti del Paese.

 

Anche di questo si parla con Alejandro Solano, in un breve incontro nello stand allestito da Slow Food per il cioccolato prodotto dalla “Chocomashpi”, l’azienda che fa parte della Mashpi Shungo, la riserva situata proprio nei pressi di Pichincha, il territorio che fu teatro della sconfitta dei conquistatori spagnoli, e nel frastuono della grande fiera di Terra Madre gli abbiamo chiesto di rispondere ad alcune domande riguardo la sua attività e il suo Paese.

Qual è il vostro prodotto?

Cacao nazionale dell’Ecuador e cioccolato con cacao nazionale”.

È differente dagli altri cacao?

Certo, perché questo cacao è patrimonio bio-culturale dell’Ecuador, un cacao che possiede molto sapore e molto aroma. È la particolarità di questo nostro cacao”.

Più degli altri?

Più degli altri. Non perché lo dica io, ma perché lo dice il mondo dei più famosi produttori di cioccolato europei: una importante caratteristica perché il cioccolato sia considerato pregiato, è la presenza di almeno il 15% di cacao dell’Ecuador”.

Da quanto tempo svolge questo lavoro, la vostra famiglia?

Stiamo lavorando alla restaurazione ecologica con il cacao da dieci anni”.

Sempre a mano? O avete dei macchinari?

Tutto il lavoro è artigianale, facciamo tutto a mano”.

Da quante persone è composta la vostra famiglia? Tutti lavorano con voi, oppure qualcuno ha fatto altre scelte?

Abbiamo iniziato con una sola famiglia, ora collaboriamo con un presidio Slow Food con dodici famiglie. Nella mia famiglia siamo in due, mia moglie ed io”.

Avete dipendenti?

Lavoriamo con altre cinque persone della comunità. Non si tratta soltanto di lavorare per proteggere l’ambiente; il nostro è anche un progetto sociale, coinvolge la comunità locale”.

Qual è il pericolo maggiore per la vostra attività?

Mah, grossi pericoli non ne vedo. Forse il maggior problema rimane lo sfruttamento delle risorse del terreno, in particolare le miniere di metalli, in primo luogo rame e oro. Questo sì, è un problema, perché più che sfruttare la popolazione, la divide, per denaro. Inoltre l’attività delle miniere è altamente contaminante, significa danni per la salute dell’uomo. Crea danni per il suolo, per l’acqua, per l’aria, per l’ambiente in generale. Dove ci sono miniere, le risorse ci sono per un periodo limitato: il nostro progetto è rigenerativo, sostenibile e di sostegno per l’ambiente”.

Secondo voi l’agricoltura familiare resisterà, oppure verrà sconfitta dalle grosse industrie multinazionali?

L’agricoltura familiare è l’attività principale, nella nostra zona. Credo che l’agricoltura che rigenera il terreno sia l’attività del presente, del passato e del futuro. L’agricoltura industriale è condannata al fallimento, perché dipende da risorse che si esauriscono, non può proseguire per sempre, se continuano a sfruttarle in questa maniera”.

Nel vostro Paese ci sono altri incontri come Terra Madre, con gli altri agricoltori e produttori del vostro Paese?

Sì, stiamo organizzando, con la rete di “Guardiani dei semi” dell’Ecuador, due incontri che non si chiamano ‘Terra Madre’, ma ‘Madre Terra’”.

Due momenti della visita dell’Ambasciatore francese alla Riserva Mashpi Shungo, nel mese di giugno 2018.

Sentite di rappresentare tutto il vostro Paese, o soltanto una minoranza?

In effetti siamo espressione di una minoranza, ma una minoranza che sta crescendo, che guarda al futuro con speranza, con l’obiettivo di coinvolgere sempre più persone. Per questo abbiamo creato il sito web www.quericoes.org  (“Que rico es!”, quanto è buono!) che coinvolge già 250 mila famiglie in Ecuador, una guida al mangiare sano, privilegiando i prodotti del nostro territorio”.

Quali sono i rapporti con il Governo? Ricevete aiuto?

Poco, molto poco, perché il Governo guarda sempre alla produttività, alla macro-economia, e non è molto interessato ai piccoli produttori, anche se producono il cibo per la maggioranza della popolazione. Ma a poco a poco speriamo di ottenere una maggiore attenzione con il lavoro che stiamo facendo in questi anni”.

Avete un sogno?

Tanti! Tanti sogni. Sognare è molto gratificante, perché sognare è gratis, per sognare non si pagano tasse, sognare non ha limiti; non dobbiamo mai smettere di sognare”.

Ultima domanda: quale profumo ama maggiormente, del suo Paese?

Il profumo della biodiversità, siamo un Paese “mega-biodiverso”, dai colori di molti fiori, molti frutti, molti animali.  Ma il profumo che amo di più è quello del cacao, ovviamente”.

Il tema della biodiversità è molto sentito dal popolo dell’Ecuador. Il terreno della riserva Mashpi Shungo viene rigenerato dalle piante di cacao, che rilasciano sostanze nutritive preziose per le altre specie, coltivate sugli stessi terreni. Sul sito web della Chocomashpi si parla di “iniziative che cercano di generare una terra in cui l’armonia tra conservazione delle foreste, relazioni umane, risorse idriche, biodiversità, attività produttive sostenibili che garantiscano il sostentamento alimentare, economico ed energetico, favoriscano una buona vita sostenibile. Abbiamo sempre sostenuto le iniziative per lo sviluppo del Piano di Gestione Ambientale, e la realizzazione di attività […] per il riconoscimento della Comunità andina Chocó come Prima Foresta Modello dell’Ecuador. Forniamo inoltre supporto costante e formazione a diverse aziende agricole del settore, per diffondere il raccolto di cacao in foreste simili alla nostra, aumentando così l’habitat per le molte specie minacciate di questa regione”.

Nella riserva ci si occupa anche della conservazione dei semi, per salvaguardare la biodiversità delle specie coltivabili. I semi delle piante coltivate per l’alimentazione posseggono un immenso patrimonio genetico che definisce adattabilità, resistenza, produttività e qualità della pianta. Da 70 anni la selezione delle semenze è esclusiva di tre grandi compagnie multinazionali: la Syngenta-Chemchina, la Corteva Agriscience e la Bayer-Monsanto. A quest’ultima va aggiunta la Basf, che conta di acquistare il pacchetto delle sementi del gruppo. La produzione intensiva ha provocato un impoverimento del patrimonio genetico citato, e stanno nascendo nel mondo diverse banche dei semi gestite da comunità locali. L’argomento è stato trattato in un bell’articolo del 2017 della giornalista scientifica Elisabetta Tola.

La conservazione del territorio è argomento scottante, in Ecuador: dal 1964 al 1990 la Texaco, poi diventata Chevron, ha riversato nei fiumi della foresta amazzonica, nel nord-est del Paese, miliardi di litri di rifiuti tossici e di greggio, derivanti da perdite dagli oleodotti. Qualche anno fa, a Quito era diffusa l’espressione “Se fai benzina alla Texaco, poi non piangere per l’Amazzonia”. È soltanto del 2011, infatti, la sentenza con cui la compagnia petrolifera è stata condannata al pagamento di una sanzione di otto miliardi e mezzo di euro per i danni ambientali. Da anni gli ecuadoregni si battono per abbandonare l’idea di progresso basato sull’accumulo di risorse, in favore dei principi delle popolazioni andine precolombiane, alla ricerca di una convivenza armonica tra gli esseri umani e la natura.

Concludiamo con le parole di Esperanza Martinez, presidente del centro di documentazione ambientale “Accion Ecologica”; lei ha lavorato nell’Assemblea Costituente che ha redatto la nuova Costituzione ed è protagonista di molte battaglie a fianco dei nativi: “È necessario adattarci ad un sistema di vita che non sia così carico di petrolio. Noi parliamo di de-petrolizzare l’economia e l’energia, parliamo di modelli per decentralizzare la vita e, in fondo, di fermare lo sviluppo. Dobbiamo pensare che il paradigma dello sviluppo non è quello che porterà felicità all’umanità, né la sua sopravvivenza, né la possibilità di un futuro”.

 

 

 

Add Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *