Antonio Gramsci, nel 1916, scrisse che “Avviene sempre così. Perché un fatto ci interessi, ci commuova, diventi un parte della nostra vita interiore, è necessario che esso avvenga vicino a noi, presso genti di cui abbiamo sentito parlare e che sono perciò entro il cerchio della nostra umanità”. Citando Balzac, Gramsci parla del “gran torto di non essere conosciuti. Vuol dire rimanere isolati, chiusi nel proprio dolore, senza possibilità di aiuti, di conforto. Per un popolo, per una razza, significa il lento dissolvimento, l’annientarsi progressivo di ogni vincolo internazionale, l’abbandono a se stessi, inermi e miseri di fronte a chi non ha altra ragione che la spada e la coscienza di obbedire a un obbligo religioso distruggendo gli infedeli. […] Gli armeni che sono disseminati in Europa dovrebbero far conoscere la loro patria, la loro storia, la loro letteratura. […] Gli armeni dovrebbero far conoscere l’Armenia, renderla viva nella coscienza di chi ignora, non sa, non sente.”
Così la storia dell’Armenia è scivolata inosservata nell’Europa del Novecento, piegata sulle proprie guerre e i propri dilanianti genocidi. La storia dell’Armenia che conosciamo inizia con Noè. Secondo il mito del diluvio universale, presente in molte culture e non solo nella Bibbia, l’Arca toccò nuovamente la terraferma sul monte Ararat, orgoglio degli armeni, sul confine tra l’attuale Armenia e il territorio turco.
Le vicende storiche dell’Armenia sono state determinate dalla posizione geografica: territorio di transito per i traffici commerciali tra Asia ed Europa, i suoi altipiani sono stati nei secoli oggetto delle ambizioni di grandi potenze. Assiri, Romani, Bizantini, Parti, Persiani, Mongoli, Curdi, Arabi, Turchi e altri hanno via via occupato questa terra. Eppure gli Armeni sono riusciti a mantenere intatti il carattere e l’identità storica.
Il “Popolo di Nairi”, così sono chiamati gli Armeni sulla prima iscrizione assira, datata 1114 a.C. La leggenda ci riporta le imprese dell’eroe epico Hayk, da cui il nome Hayastan, con cui viene chiamata l’Armenia dai suoi abitanti. Soltanto nel V secolo la Storia mette in evidenza un altro eroe epico, Aram, con cui venne identificata la popolazione della zona.
Il primo grande regno fu una confederazione dei popoli locali, Urartu, il cui nome derivava proprio dal monte Ararat, tra il IX e il VI secolo a.C., e che in molti testi antichi veniva appunto indicato come il “Regno di Ararat”. L’economia si basava sulla produzione di manufatti, con l’utilizzo di diversi materiali (gli Armeni furono tra i primi ad usare il bronzo e la ruota, e a coltivare la vite), e prosperò erigendo palazzi, fortezze, templi e opere pubbliche come i canali di irrigazione, utilizzati ancora oggi. Il territorio armeno, allora, arrivava fino al Mediterraneo, oltre i monti Taurus.
Arrivarono i Persiani, con Ciro il Grande, che sottomisero il Paese per circa due secoli, imponendo pesanti tributi alla popolazione. Introdussero il culto di Zoroastro e suddivisero il territorio in satrapie, fino alla conquista da parte di Alessandro Magno. A quella del Macedone seguì la dominazione seleucide, fino alla rinascita del regno armeno con Tigrane il Grande, il “Re dei Re”, che durante il primo secolo a.C. riportò il territorio all’antica estensione fino al Mediterraneo.
Nel 301 l’Armenia adottò il Cristianesimo come religione di Stato, dodici anni prima dell’Editto di Costantino, e il concetto di armenità ha resistito alle periodiche conquiste proprio grazie al ruolo fondamentale della Chiesa, orgoglio di questo popolo. Un secolo più tardi la creazione dell’alfabeto armeno, tuttora immutato, rafforzò la sua identità nazionale. Il Cristianesimo portò inevitabilmente problemi con il vicino colosso persiano, fino all’arrivo degli Arabi. Seguirono un paio di secoli di prosperità, dal IX al XI, che videro fiorire arti e lettere, e crescita economica. L’arrivo di Tamerlano spinse gli Armeni verso sud, a fondare il regno armeno di Cilicia che, essendo molto vicino alla Terra Santa, aveva forte connotazione europea. Tra il 1500 e il 1600 l’Armenia vide le invasioni dei Mongoli, poi fu di fatto spartita tra l’Impero Ottomano e la Persia.
Ma il territorio fu per molto tempo la via preferita dalla Repubblica di Venezia per gli scambi commerciali con l’Oriente. Unico popolo cristiano in una prevalenza di Paesi musulmani, i veneziani lo attraversavano sulla Via della Seta, tanto che oggi la piccola comunità di San Lazzaro degli Armeni, piccola isola della laguna, è punto di riferimento per gli Armeni sparsi in tutto il mondo. Vi si celebra ancora la messa in armeno e Ca’ Foscari è sede di studio della lingua e letteratura armena.
Arriviamo così al XIX secolo, con le persecuzioni subite da parte dei Turchi, culminate nel genocidio del 1915. Gli ultimi anni dell’800 videro discriminazioni sempre più marcate nei confronti della popolazione di origine armena, in un Impero Ottomano ormai in fase decadente, con uccisioni di massa in alcune province armene già tra il 1894 e il 1896. Quando nel 1908 i “Giovani Turchi” salirono al potere, gli Armeni sperarono in giorni migliori, speranza subito mortificata dal massacro di Adana del 1909, in cui persero la vita 30.000 persone.
Il più famoso genocidio, quello del 1915 di cui molto si è parlato, fu messo in atto dal governo turco che sfruttò il caos internazionale creato dalla Prima Guerra Mondiale. I governi turchi hanno sempre negato, ed è sulla parola “genocidio” che si gioca oggi la partita storica, politica e diplomatica più importante. Pronunciata ufficialmente, con disappunto dei Turchi, da Papa Francesco, che sta compiendo un grande lavoro diplomatico allo scopo di portare pace nella regione del Caucaso, il 12 aprile 2015, in Vaticano, alla presenza del presidente armeno Sargsyan, dopo che già la Francia nel 2006 aveva provocato l’irritazione della Porta d’Oriente con una legge che proibiva il negazionismo sull’argomento. Il termine viene evitato dai Turchi, ma non viene mai usato neanche dagli stessi Armeni, che preferiscono parlare del “Medz Yeghern”, il Grande Crimine. Si racconta, inoltre, di stragi successive, a Baku nel 1918, a Shushi nel 1920 e altrove.
Nel 1918 l’Armenia ottenne l’indipendenza, che durò appena un paio d’anni, fino all’invasione da parte dell’Armata Rossa che ne fece una delle repubbliche sovietiche. Negli anni ’80 il colosso sovietico vacilla, gli armeni si risollevano e cominciano a sperare in una nuova indipendenza. Prima di questa, ci sono le tensioni con l’Azerbaijan, le rivendicazione del Nagorno-Karabakh, territorio assegnato agli azeri ma a forte maggioranza armena. Le prime elezioni democratiche, svoltesi nel 1990, videro affermarsi il Movimento Nazionale Armeno, che nel 1991, dopo la caduta dell’URSS, indisse il referendum che decise l’indipendenza della Repubblica dell’Armenia.
Nel 1992, l’occupazione del Nagorno-Karabakh (che il 12 dicembre 1991 aveva proclamato la propria indipendenza da Baku) da parte delle truppe armene complica le cose con la Turchia, che appoggia l’Azerbaijan e chiude i confini con l’Armenia. Nel 2007 viene assassinato ad Istanbul il giornalista armeno Hrant Dink, evento che avrebbe potuto alimentare le tensioni tra i due Paesi e che provoca invece un lento ma progressivo processo di distensione. A fine 2008 un gruppo di circa 300 intellettuali turchi lancia online la petizione “Chiedo scusa agli armeni”, raccogliendo in poche settimane 28.000 firme. Nel 2009 a Zurigo i due governi si accordano su una “road map” per arrivare alla pace piena. Ma il conflitto con gli Azeri è di fatto ancora ben vivo. Lo scorso luglio, un gruppo di veterani ha dato l’assalto ad una stazione di polizia nei pressi della capitale, provocando manifestazioni di piazza e disordini da parte dei sostenitori, oppositori del Presidente Sargsyan, facendo temere un colpo di stato. Il conflitto in Ucraina, ma soprattutto i recenti contrasti tra Mosca e Ankara, hanno risvegliato all’inizio di aprile le tensioni nel territorio conteso, teatro di nuovi combattimenti. Senza dimenticare l’importanza strategica che rivestono l’oleodotto e il gasdotto che dal Mar Caspio riforniscono l’Occidente, e il ruolo del confinante Iran, da poco aperto alle relazioni commerciali con l’estero, cui Erevan, come molti altri Paesi della zona, è molto interessata.
L’Armenia è una terra ricca di contrasti. È un Paese di grande cultura, costellato di antichi monasteri e abbazie, sconvolto dal terremoto nel 1988, ma allo stesso tempo centro di tecnologia avanzata. Un primato che nasce negli anni ’50, quando Mosca vi fondò un Centro Ricerche per lo sviluppo di computer ad uso militare e civile. Fonti governative parlano oggi di circa 15.000 occupati nel settore (su tre milioni di abitanti). La Russia continua ad essere il principale alleato politico, anche per gli aiuti economici e le forniture militari, della piccola Repubblica Armena. Altro dato notevole è che Erevan è un centro mondiale del settore dell’oreficeria.
Gli Armeni però sono in fuga dal Paese, una diaspora che li vede abbandonare un’economia zoppicante ed una terra, ormai un decimo di quella di un tempo, quasi del tutto priva di collegamenti ferroviari (distrutti nel conflitto con gli Azeri), per stabilirsi in tutto il mondo. Le comunità armene più numerose sono in Russia, Turchia, Stati Uniti, Francia, Georgia e Libano. In questo Paese, in cui la povertà si sente forte, la corruzione dilaga, i matrimoni sono ancora combinati e la corrente elettrica non arriva ancora dappertutto, vive Ruslan Torosyan, agronomo e produttore di uno dei formaggi più caratteristici del territorio, il motal.
Risultato dell’unione al latte di capra di erbe selvatiche e della cagliata di vitello, secondo un procedimento antichissimo. I produttori di motal allevano in condizioni difficili dalle 10 a 150 capre, lavorando in territori isolati ed è il lavoro del sig. Torosyan, con l’aiuto di Slow Food, che ha permesso di creare un coordinamento generale, che prevede tra l’altro visite regolari da parte di veterinari di fiducia della Fondazione e un disciplinare contenente la codifica delle regole di produzione, dalla genuinità del latte caprino ai sistemi di stagionatura, che può durare anche sei mesi.
Gli abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa sulla sua attività:
Da quanto tempo la vostra famiglia svolge questa attività?
Siamo entrati in Slow Food nel 2006, ma il “Motal” viene prodotto dalla mia famiglia da molto, molto tempo. Mia nonna era una grande produttrice, fu lei a trasmettermi l’interesse per la magia del formaggio.
We are in Slow Food Movement since 2006. But the “Motal” cheese has been made in my family from very very long time. My grandmother was a great cheese-maker. And she was the person, who made me interested in the magic of cheese.
Lavorate la terra a mano o utilizzate macchinari?
L’intero procedimento è manuale, non abbiamo mai usato alcun macchinario. Prima di tutto perché non produciamo grandi quantità, e poi perché non vediamo il “Motal” come un’impresa commerciale. È più che altro un hobby. Il “Motal” è fatto con latte di capra e, com’è noto, le capre non producono tanto latte quanto i bovini. Noi abbiamo un numero limitato di capre, ecco perché tutto è fatto a mano.
The entire technology is hand -made. We never ever used any machinery. First of all because we do not made cheese in a big volume and the second reason is because we do not consider “Motal” cheese as a business. This is more a hobby. “Motal” cheese is made from goat milk, and you should know, that goats do not produce milk in a volume like cows. So, we have small amount of goats, that is why everything is hand-made.
Da quante persone è composta la vostra famiglia? Tutti i vostri figli lavorano con voi, o qualcuno è andato via?
Nella nostra grande famiglia siamo in sette. Io, mia moglie, i nostri tre figli e i miei genitori. I miei bambini sono ancora troppo piccoli per darci un mano, il maschio ha appena due anni. Tutto il lavoro è svolto da me, mia moglie e i miei genitori, ognuno con il proprio preciso compito. Mio padre cura gli animali, mia madre sceglie con cura le erbe selvatiche che mettiamo nel formaggio e mia moglie ed io ci occupiamo del processo di fabbricazione.
We are a big family of 7 people. Me, my wife, our 3 children and my parents. My children are still too young to be able to help us. My son is still 2 year old. All the work is done by me, my wife and my parents, Everybody knows his responsibility. My father is caring about animals. My mother is collecting wild mountain herbs, which we mix with cheese and my wife is helping me in the process of cheese-making.
Quindi non avete dipendenti.
No, non abbiamo dipendenti
No, we do not have employees
Qual è il pericolo più grosso per il vostro lavoro?
Secondo me, il maggior pericolo per il futuro è lo scarso interesse dei giovani nel proseguire le tradizioni familiari. Dal momento che il processo di preparazione del “Motal” è molto lungo e richiede tempo, impegno e pazienza, io non sono sicuro che le nuove generazioni vorranno fare questo lavoro. Il secondo pericolo temo sia il processo di globalizzazione. In qualsiasi luogo del mondo puoi trovare “fast food”: la gente è sempre di corsa, ha poco tempo per gustare il piacere del cibo e vuole mangiare in modo veloce ed economico. Ma se è vero che preparare del buon cibo richiede tempo, vuol dire che anche per mangiare del buon cibo devi impiegare un pochino di tempo in più.
In my opinion the biggest danger we may face in the future is lack of interest from young generation to continue the family traditions. Since the process of preparing “Motal” cheese is very long- it requires time, effort, patience, I am sure, that young generation will do this work. The second danger, I think, is the process of globalization. Everywhere in the world you can meet “fast-food” restaurants because people always are in a hurry, they do not have time to enjoy the food, they want to eat quick and cheap. But we know, that to prepare good food you have to spend time, which mean, that to eat good food you also have to spend little more time.
Secondo voi, l’agricoltura familiare resisterà, o verrà sconfitta dalle grosse industrie?
Sono preoccupato per l’agricoltura familiare. Non conosco la situazione in Europa, ma in Paesi come l’Armenia le aziende agricole di famiglia vanno purtroppo scomparendo, perché non rendono economicamente. I giovani lasciano i villaggi e si spostano nelle città per cercare lavoro. Raramente si incontrano giovani disposti a rimanere nei villaggi per dedicarsi all’agricoltura. Oltre a tutto ciò, in Armenia il sostegno del Governo è molto debole.
I have worries about family farming. I don’t know how the situation in Europe is, but in a countries like Armenia, unfirtunately family farming is disapearing, Because it is not profitable. Young people leave villages and move to cities to find there work. Very rare you can meet a young person who is willing to stay in village and do farming. Besides, in Armenia the government support is very weak.
Avete incontri come Terra Madre, con gli altri agricoltori del vostro paese?
Terra Madre è un evento globale, non abbiamo niente di simile in Armenia, ma all’interno di “Convivium Ararat” incontriamo periodicamente altri produttori e allevatori di capre.
The Terra madre is a global event, We do not such things in Armenia, But within convivium Ararat we meet permanently with other producers. with people who bread goats.
Sentite di rappresentare tutto il vostro Paese, o soltanto una minoranza?
Sono fiero ed orgoglioso di essere qua, perché rappresento il patrimonio di tutto il mio Paese, non soltanto quello delle mie tradizioni familiari.
I am proud to be here and I am proud for my country. Because I present here the heritage of my country, but not only the heritage and traditions of my family.
Quali sono i rapporti tra la vostra comunità e il governo del vostro paese?
Purtroppo il Governo non è molto attivo nel sostegno ai piccolo agricoltori. Certo, talvolta porta avanti alcuni progetti, ma di solito le piccole fattorie non riescono a beneficiarne, dato che sono studiati per sostenere le grandi aziende.
Unfortunately, the government is not very active in supporting small farmers. Of course from time to time they conduct some projects, but usually small farmers can not enjoy them. This is more about supporting big producers.
Avete un sogno?
Sicuramente. Sogno di vedere i miei figli continuare il mio lavoro. Vorrei ricchezza e prosperità per il mio Paese, vorrei che Terra Madre avesse una lunga vita, affinché mio figlio riuscisse, tra vent’anni, a parteciparvi per presentare il mio meraviglioso Paese: l’Armenia.
Yes, of course. I want to see my children continuing my work . I want my country to be prosperious, I want Terra Madre to live long life, so as my son after 20 years is able to participate in Terra Madre and present my wonderful country- Armenia.
1 Comment
Ruslan è stato ospite della mia famiglia nella recente edizione di Terra madre e ci ha fatto dono di uno di quei meravigliosi vasetti contenenti il Motal. Abbiamo assaggiato il suo formaggio, ha un sapore caldo e avvolgente per il palato e, sì, l’abbiamo anche usato anche per condire una pasta: è venuta benissimo, era veramente gustosa.
Auguro a Ruslan di realizzare il suo sogno, Terra madre sarà il mezzo per raggiungerlo!
Add Comment