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Decoro o dignità?


 10 Mar 2018   Posted by Marco Gambella  0 Comment


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Via Cernaia (Porta Susa), Torino, ore 9,30 di un giorno qualsiasi.

Qualcosa che non va c’è.

Io credo che l’espressione “Paese civile” sia da adoperare per un Paese in grado di dare dignità ad ognuno dei suoi cittadini.

No, non è una questione di solo decoro: certo, la puzza c’è, ma quello forse si può superare. Quello che ci preoccupa è che un gruppo di persone preferisca vivere per strada piuttosto che affrontare le difficoltà della vita che noi tutti conosciamo. È ciò che sostengono i gestori di un bar nelle vicinanze: “Guardi che quelli non sono barboni in disgrazia, sono giovani, ogni tanto li sentiamo suonare e cantare. Si divertono, insomma”.

Due signore si muovono con disinvoltura in questo dormitorio di fortuna, puliscono intorno ai giacigli occupati dai “ragazzi” che vi dormono. Sono le nove del mattino, chissà cosa faranno durante la giornata. E il bivacco dura da molto tempo. “Sono lì da più di un anno” continua il barista “sono venuti anche qua, volevano restare un po’ a scaldarsi, ma non glie l’ho permesso, li ho fatti uscire. Se i clienti entrano e vedono questo spettacolo, non tornano più, io devo pur vivere”.

Chiamare i “Civich” non serve, mandarli via non basta, perché il problema si sposta soltanto, ma non si risolve, rimane un problema. Quello che la gente vede come una questione di decoro urbano, è invece una faccenda che riguarda la dignità di ogni individuo.

C’è una grande domanda che ci si pone, in questi casi: cos’è la libertà? Un Paese deve obbligare i suoi cittadini a dare il loro contributo per la società, oppure è giusto che ognuno di noi sia libero di vivere come meglio crede? Che cos’è, in sostanza, la democrazia? La risposta è sempre nel mezzo, come dicevano i latini, ognuno di noi deve essere libero di scegliere, a patto che non rechi danno al prossimo. Ecco, scegliere è il verbo giusto, il libero arbitrio è sempre sacro per un essere umano.

Eppure la nostra Carta Costituzionale sancisce l’obbligo, per tutti i propri cittadini, di fornire il proprio servizio alla Repubblica. L’art. 4, al secondo comma, recita testualmente: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Dovere, la nostra Costituzione parla di “dovere”, per ogni individuo, di contribuire al benessere della società in cui vive.

Ma c’è anche un altro aspetto da tenere presente, una convinzione che ho maturato nei miei anni di volontariato sulle ambulanze della provincia. Si è detto che ognuno di noi dovrebbe avere la possibilità di scegliere come vivere, a patto che non rechi danno al prossimo. Bene, ma nemmeno a se stesso. Tutti noi cerchiamo la nostra dignità, sono del parere che sia obbligo morale di ogni buon cittadino evitare che qualcuno si faccia del male, in un modo o in un altro. Noi stessi o i nostri “strumenti”, come le forze dell’ordine, le strutture sanitarie, assistenziali o altri, abbiamo l’obbligo morale di evitare che un concittadino si degradi o si faccia del male, o tenti di privarsi della vita. Qui però nasce l’altra grande domanda: è giusto che lo Stato faccia da padre ai propri cittadini, e si occupi del loro benessere psico-fisico, che si comporti, con un’espressione oggi abusata e che detesto, da “Stato etico”?

Secondo me sì. Lo Stato (che siamo noi, non dimentichiamolo mai) non solo è opportuno che ci faccia da padre, ma ne ha l’obbligo. Lo Stato è “etico” per definizione, perché se ci siamo dati delle regole e delle leggi, è per tentare di aver cura gli uni degli altri, per poter avere, come tendono a fare tutti gli esseri viventi, una vita tranquilla, o perlomeno il più possibile serena. Il benessere di ognuno di noi passa necessariamente attraverso il benessere dei nostri concittadini.

Ecco, forse abbiamo bisogno di diffondere una nuova cultura, nel nostro Paese, che tanta fatica sta facendo per uscire da una crisi mondiale, ma dalla quale, nonostante l’ottimismo di chi ci governa, non è affatto fuori. Forse occorre convincere la gente che la libertà che abbiamo sognato nei decenni precedenti non esiste, e che tutti noi dobbiamo faticare per contribuire a costruire una casa comune che stia in piedi e che non vada in frantumi al primo terremoto o alla prima alluvione.

Occorre predisporre edifici con alloggi singoli, che possano ospitare chi non ha un tetto, ma in modo civile, non come si vive oggi nei dormitori pubblici, che sono una specie di inferno, a detta di chi vi è passato; con personale che si occupi di cucinare, della pulizia e degli altri servizi. Occorre stabilire delle linee di comportamento da parte di chi (che siano operatori assistenziali, forze dell’ordine o semplici cittadini dal particolare senso civico) viene a trovarsi di fronte a queste persone e, trattandoli appunto come persone e non solo come “problema da risolvere” possa consigliare loro un luogo dove trovare ricovero e magari anche un’occupazione per potersi rendere utili.

Utopia? Forse. Il problema è che tutto questo ha un costo, e in un Paese corrotto come il nostro le risorse finanziarie sono mal distribuite, pochi privilegiati hanno troppo, e non mollano. Ma una rivoluzione culturale ci vuole, è ormai necessaria, per un Paese, l’Italia, nel quale ormai ogni cittadino fa quello che vuole e sono ormai pochi coloro che rispettano del tutto regole e leggi, in un far west in cui vige soltanto la legge del più forte. E chi non ce la fa, va a dormire per strada.

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Marco Gambella
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