Alla luce incerta dell’alba, tra i banchi di bruma della mattina, le carcasse degli aerei russi somigliano a giganteschi insetti. Sotto le loro ali spezzate, centinaia di persone sono pigiate sotto dei teloni, vecchi teli agganciati qua e là, a proteggerli un poco dal sole, dalla pioggia e dal resto.
Alcune donne, con un po’ di fortuna, accendono fuochi per cuocere un pallido pasto. Come spesso accade, la maggioranza delle persone non mangerà. Davanti alle carcasse degli aerei si estendono decine di migliaia di capanne improvvisate, semplici pezzi di legno coperti di foglie, nelle quali gli abitanti di Bangui si ammassano, contenuti a stento dai reticolati che delimitano le piste.
Il campo dei rifugiati dell’aeroporto è il più grande, a Bangui. È sorto selvaggiamente, all’inizio dei combattimenti nella città, lo scorso 5 dicembre. Gli “abitanti” l’hanno soprannominato il Ledger, come il locale Palace Hotel; per beffa, certo, ma anche per il vago senso di sicurezza che vi si può trovare. Già, perché l’aeroporto, sito strategico, è controllato dalle truppe francesi, cosa che tiene lontane le milizie. Oggi sono in centomila, a vivere sotto il precario ombrello francese. “È molto semplice. Non c’è niente. Niente latrine, niente docce o accessi all’acqua potabile. Nessuna tenda”, riassume Lindis Hurum, responsabile di Médecins Sans Frontière per il sito. La cosa peggiore è che il campo non smette di ingrandirsi. Soltanto il 23 dicembre contava 55.000 persone. “Questo afflusso rende le cose ancora più complicate” assicura la responsabile umanitaria. L’ospedale allestito in fretta dall’ONG trabocca, malgrado i suoi 16 medici dall’estero e i suoi 150 collaboratori locali.
Per terra, steso su un telo, giace un adolescente, il cranio aperto da un colpo di machete ed una larga ferita sulla schiena. Alcuni medici tentano di suturarla. Routine. “Ne riceviamo una decina al giorno”, spiega un’infermiera […].
Davanti all’ospedale da campo attendono lunghe file di pazienti. Ci sono soprattutto bambini, l’aspetto più fragile delle miserabili condizioni igieniche del luogo. In un angolo, un reparto maternità lavora a pieno regime. In media, otto parti al giorno, a volte quindici. Qui è nato perfino un piccolo François Hollande, poco tempo dopo l’inizio dell’Operazione “Sangaris”, quando i rifugiati erano ancora convinti che l’intervento delle truppe francesi avrebbe rapidamente posto fine al caos che regna a Bangui.
Da allora, è subentrata la delusione. “Non abbiamo niente, nemmeno da mangiare. È dura. Quando piove siamo costretti a restare in piedi, a volte per l’intera notte, con i nostri bambini in braccio affinché non piangano e non si ammalino”, brontola Dieumerci Baba, il quale vende uno dopo l’altro i propri indumenti per nutrire la famiglia. Lui e i suoi figli sono fuggiti tre settimane fa dal quartiere Combattants (il quartiere in cui sono stati uccisi due paracadutisti francesi, NdT) e dai soprusi dei miliziani Seleka. “Là uccidevano. Era troppo pericoloso”. Questo piccolo “gargotier” (“gargote” in francese indica una bettola, NdT) ha dovuto assistere al saccheggio del suo piccolo ristorante. Non vi è mai più tornato, l’idea stessa rinnova la paura nei suoi occhi. Philomène non ha più rivisto la sua casa, dopo la fuga. “Ma so che mi hanno portato via tutto: i letti, la televisione, il frigorifero” si lamenta, scusandosi perché da giorni non fa una doccia. Lei è un rispettabile funzionario del Ministero delle Miniere. Già, perché il campo accoglie di tutto. La gente comune, ma anche professori, medici, avvocati, spinti qua da un terrore che non fa che aumentare. Le voci che girano non contribuiscono a migliorare le cose. “I musulmani si appostano tra le piante di mango ci prendono di mira come animali” afferma un uomo. Ognuno conosce una persona che ha perso la vita tornando al quartiere. Tuttavia il discorso dei musulmani non ha molti sostenitori. “Si potrebbe convivere con loro, se la Seleka e Djotodia se ne andassero”, dice Bienvenu Mandake prima di ritornare all’ossessione comune: procurarsi del cibo ed un riparo.
Ma come? I disgraziati del campo non ricevono alcun sostegno. A parte MSF, nessun altro è venuto in loro soccorso. Tutte le agenzie dell’ONU presenti a Bangui passano la mano, anche l’HCR, seppure per questa il sostegno ai rifugiati sia l’obiettivo principale. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ha tentato di organizzare una distribuzione di rifornimenti alimentari, ma si è risolta con un fallimento. Poi, più niente.
“È come minimo incomprensibile” si irrita Lindis Hurum. MSF ha pubblicato una lettera aperta per protestare contro questo vuoto inverosimile. “Stiamo per intervenire, ma la faccenda è complessa. La sicurezza non è garantita” si giustifica – male – Bernard Ntwari, il portavoce dell’HCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati.
Eppure il campo è tranquillo, anche se la collera antifrancese, anti-stranieri, sta salendo. In sottofondo c’è la paura degli Anti-Balaka, la ribellione cristiana, che va e viene, e si muove con discrezione lungo le strade sterrate, che ostacola gli aiuti. Tale presenza fa inoltre pesare sui rifugiati un rischio insidioso. “Se ci fosse un attacco al campo o su un lato del sito, sarebbe una catastrofe”, predice un osservatore.
Charles Massi, il direttore dell’aeroporto, spera “che le distribuzioni di cibo vengano organizzate in città, allo scopo di spingere la gente a liberare la base”. Visto il livello di sicurezza in Bangui, tale speranza resta un’utopia. “È meglio avere fame che morire” è la sintesi di Bienvenu Mandake.
Le Figaro, 2 gennaio 2014
di Tanguy Berthemet – Traduzione di Marco Gambella per Emporio Globale
1 Comment
Lo scenario di Bangui,ben descritto e ben tradotto da Marco Gambella fa venire i brividi al lettore.Non è possibile immaginare quanto vissuto e sofferto da quei poveri rifugiati.Ma i Grandi Potenti che aspettano per un aiuto a queste popolazioni?Avere come alternativa la fame difronte alla morte è inaccettabile.Uno scenario che non dovrebbe far dormire nessun uomo/donna vivente in una società che concede anche il superfluo.
Bravo,Marco per averci fatto riflettere su questo grande smarrimento dei profughi nell’aeroporto di Bangui.Nel mio piccolo cosa posso fare per queste popolazioni?
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